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BADIE E GRANGE BENEDETTINE

NELLA CHIESA TELESINA

DI VINCENZO CANELLI.

 

 

 

PRESENTAZIONE

 

La nuova pubblicazione del rev. prof. Vincenzo Canelli “Badie e grange benedettine nella Chiesa Telesina” è il frutto maturo di alcuni anni di ricerca attenta, specialmente nell’archivio della nostra Curia diocesana.

Poveri ruderi presenti qua e là, voci della tradizione popolare, alcune testimonianze ancora vive del passato e altre scritte circa antiche abbazie hanno indotto l’autore a cercare le fonti storiche.

Quello che ha trovato lo pubblica.

Ha potuto leggere documenti che non vanno oltre il XVI secolo, però attraverso questi ha spinto lo sguardo fino al secolo VII.

La storiografia, anche la più arida, non può limitarsi ai fatti; deve darne una interpretazione. Tentativi di interpretazione si trovano qua e là nella pubblicazione. Di essi giudicheranno i lettori.

Certo è che ora conosciamo qualcosa di più e di meglio del nostro passato.

Il lavoro, che viene pubblicato nella imminenza delle celebrazioni per il XV centenario della nascita di S. Benedetto, vuole essere anche un piccolo omaggio al “sublime Legislatore dei Monaci” e alla Famiglia Benedettina, cui tanto deve la cultura e la civiltà dell’Europa e del mondo, e anche la nostra Chiesa Telesina.

E’ triste constatare come siano scomparse perfino le vestigia della maggior parte delle Abbazie e grange benedettine nella nostra terra.

L’Abbazia di 5. Salvatore, che fu la più illustre ospitò anche, intorno al 1100, il grande Sant’Anselmo d’Aosta arcivescovo di Canterbury è ancora in gran parte in piedi nella sua Chiesa celle mulino cortili orto officine adibiti ad altro uso, e potrebbe essere recupe­rata e ricostruita non solo per offrire una gloriosa testimonianza del passato, ma anche il luogo di raccolta di resti d’antichi monumenti portati via ed esposti fuori delle nostre terre.

Se non possono rinascere le antiche abbazie, riviva lo spirito benedettino che informò certamente mente e cuore dei nostri Padri: “Ora et labora” prega e lavora: prega lavorando lavora pregando.

 Cerreto Sannita,

Solennità dell’Annunciazione del Signore, 1979

  FELICE LEONARDO

   

LE BADIE DI « SAN BENEDETTO»

E DI «SANTA ANASTASIA » IN PONTE.

 

La Badia di « San Benedetto » è da ritenersi per il suo titolo la più antica e forse la prima eretta nella nostra Chiesa al tempo di San Barbato (sec. VII).

Sorgeva «extra Castrum Pontis» nella zona denominata «San Benedetto »: « Sancti Benedicti Castri Pontis » lungo la strada che attualmente da Ponte scalo porta a Fragneto Monforte, nel luogo chiamato volgarmente «Sant’ Vennitt» a breve distanza dalla Badia di « Santa Anastasia ». E poiché sembra strano (a mio avviso) che in uno stesso piccolo territorio, qual era quello di Ponte, coesistessero due Badie e per di più così vicine tra loro, è da supporre che la Comunità di «San Benedetto »fosse costituita da monaci mentre quella di «Santa Anastasia» sorta successivamente  da monache benedettine assistite1 Nel Libro Magno abbiamo notizia della Chiesa badiale intitolata anch’essa a San Benedetto 2

Si hanno ancora notizie della Chiesa in una lettera che data 4 marzo 1822 diretta al Signor Presidente della Commissione diocesana di Cerreto, nella quale si legge: « Abbiamo passata la notizia ai signori Guglielmucci di Casalduni compratori della Badia di San Benedetto perché presentassero l’istrumento della compra » Dell’antica Chiesa badiale esistono pochi seminterrati avanzi.

 Gli abati commendatari

 Poche invece sono le notizie dei suoi abati Commendatari3.Si sa che nel Sinodo celebrato nel 1645 dal Vescovo Marioni nella Chiesa Cattedrale della « SS. Trinità alias Sancti Leonardi » di Cerreto, fu presente — con l’abate Francesco Maria Macchiavellj della Badia di San Salvadore — « Dominus Marcellus Patavinus abbas Sancti Benedictj in Terra Pontis ». Un altro abate « Illmus Dominus Andreas Mazzacara Castri Sancti Benedicti Castri Pontis » fu presente al Sinodo del 17 maggio 1676 celebrato anch’esso nella Chiesa Cattedrale della « SS. Trinità alias Sancti Leonardi » di Cerreto.

Da una Bolla del 16 maggio 1722 si rileva che l’abate dell’epoca fu Pietro Giamei, mentre con Bolla del luglio 1723 fu nominato don Domenico Mastrobuoni di Cerreto .

Attualmente il proprietario del terreno ove sorgeva la Chiesa e tutto il complesso benedettino, è il signor Carlo De Cicco di Torrecuso residente a Torino.

 La Badia di « Santa Anastasia »

 « Santa Anastasia », sorta successivamente alla Badia di « San Benedetto » fuori dell’abitato « extra Castrum Pontis adoram fluminis Caloris » lungo la Via Latina, dai documenti esistenti nella Curia di Cerreto Sannita è notata come parrocchia « pervetusta et ditissima »

La Badia nel 980 fu donata da Pandolfo Principe di Benevento — come si apprende da un Diploma di tale epoca— a Giovanni abate di San Lupolo con l’obbligo di ricostruire il castello. Ciò mostra come « Ponte fu sconvolto da guerre per le quale guerre sono occorse depredationi et saccomanni, intantoché più volte detta terra è disabitata e quasi ridotta a disabitare »

Nel 1137 passò a Montecassino, come risulta da un Diploma dell’Imperatore Lotario confermato nel 1169 con un altro Diploma di Enrico VI ‘e da una Bolla di Papa Onorio III .Nel sec. XIV, e precisamente nel 1354, la Badia era sede di parrocchia. E’ da notare, tuttavia, che in tale epoca era con il parroco un beneficiano: il chierico Nicola Pietro di Limata di Ferrarisij al quale la Curia di Telese « liberamente conferì il dinotato beneficio di Santa Anastasia colla facoltà di percepissi il quarto de’ frutti della parrocchia. E il detto beneficato ne prese sollenne possesso in presenza di nove testimoni »

Dai documenti consultati, però, non risulta che successivamente vi fossero stati altri beneficiani come il chierico Nicola Pietro. La badia fu sede di Parrocchia fino al 1569 anno in cui « Li cittadini di Ponte richiamano l’arciprete sopra il Castello della Parrocchia sita circa mezzo miglio distante dal paese, col Santissimo Sagramento e con tutti li sagramentali per loro commodo ». La Chiesa, che dalla citata data (1569) custodirà il Sacramento dell’Eucaristia e della Estrema Unzione, è quella sotto il titolo della Santissima Trinità, « similemente extra le mure et abitate di detto Castello per un tiro di pietra, Chiesa sola et isolata ».

In questa vennero pure celebrati i matrimoni. La sede di titolanità, comunque, della parrocchia, resterà sempre « Santa Anastasia» nella quale di solito veniva celebrato il Sacramento del Battesimo, come ricorda in seguito il Vescovo De Bellis (1684-1693) nella Relazione « ad limina » del 1690.

Nel 1596 — anno in cui « Santa Anastasia » contava poco menò di 140 anime: « animae sunt circiter quatraginta » — i Sacramenti « passarono » dalla Chiesa della Santissima Trinità a quella del Santissimo Rosario.

 Si legge, infatti, in una « Convenzione tra li cittadini e l’Arciprete di Ponte » che: « Il giorno 3 settembre 1596 nel Castello di Ponte ed esattamente nella venerabile Chiesa del Santissimo Rosario di detto Castello, alla presenza dell’Illustrissimo e Reverendissimo Eugenio Firmano (Eugenio Savino di Fermo) per grazia di Dio e della Sede apostolica Vescovo Telesino, in occasione della santa Visita nello stesso Castello si sono costituiti Antonio Vitello e Antonio Maio economi della Confraternita del Santissimo Rosario, Antonio Ventucci, l’Arciprete Claudio Ventucci e alla presenza di quasi tutto il popolo avendo, detto Castello di Ponte, la matrice parrocchiale sotto il titolo di Santa Anastasia molto lontana dal detto Castello et abitato, esso Arciprete e tanto alcuni delli suoi prossimi predecessori per commodità dell’amministrazione del Santissimo Sagramento dell’Eucharestia e della Estrema Unzione ànno voluto per il passato, ancora al presente, tenere e conservare detti Santissimi Sagramenti in detta Chiesa sub titulo della Santissima Trinità di detto Castello sita simelmente extra le mure et abitato di detto Castello per un tiro di pietra, Chiesa sola et isolata nella quale per il passato si è commesso furto, e ànno rubato la piside d’argento dove si conserva il Santissimo Sagramento dell’Eucharestia.

E perché li stessa Chiesa della Santissima Trinità è anche molto incommoda per l’amministrazione di detti Sagramenti e nuovamente è stata per essi cittadini e confraternita del Santissimo Rosario edificata una nuova Chiesa dentro l’abitato di detto Castello sotto il titolo del Santissimo Rosario con luogo per sacrestia, un commodo d’altare del Santissimo Rosario, nell’atto di santa Visita è parso a Monsignore predetto e detto Arciprete, eletti e cittadini di detta Terra molto espediente, predetto Santissimo Sagramento dell’Eucharestia e dell’oglio degl’infermi et altri ogli sacri si trasferissero in detta nuova Chiesa del Santissimo Rosario, si per magior decenzia di detti Sacramenti e per più sicura conservatione ». Agli Arcipreti, però, incomberà l’obbligo di celebrare la santa Messa in « Santa Anastasia » il 15 gennaio di ogni anno.

Privata anche della celebrazione del Sacramento del Battesimo — per la favorevole ubicazione della Chiesa del Santissimo Rosario « quae est in superiore partis montis ubi habitantium sunt domus » —‘ l’antichissima badia (parrocchia) di Santa Anastasia perse sempre più del suo prestigio. Toccata poi duramente dalle calamità naturali, inesorabile fu la sua rovina al punto che della austera costruzione non resterà che « solo le muraglie »,

L’ultimo colpo le venne inferto nel 1935 da un violento incendio che la privò pure della parte superstite dell’abside.

Al presente, nonostante siano stati eseguiti lavori alle antiche e gloriose « muraglie », non v’è altro ricordo che il nome della badia di « Santa Anastasia », il cui titolo, però, trasferito nella Chiesa del Santissimo Rosario, sopravvive ancora oggi.

Nel 1858 la Chiesa del Santissimo Rosario «ubi parochiale servitium adimpletur » — si legge negli Atti e Decreti di Santa Visita — subì gravi danni tanto da sollecitare un tempestivo intervento del Vescovo Luigi Sodo di santa e venerata memoria 4 presso i responsabili dei luoghi pii e presso quelli della « Università’» di Ponte perché nel più breve tempo venissero eseguiti i lavori.

Scrive il pio Vescovo: « Ecclesia recenter collapsa quam citius reficienda, ne cultus divinus et Sacramentorum administratio detnimentum patiatur, praepositos propterea sive Universitatis, sive locorum piorum monendos ut infra duos menses necessaria suppeditant ad finem » Dopo quasi 30 anni il « Rosario » fu di nuovo tutto un cantiere. Scrive ancora il Vescovo Sodo: « Die 8 octobnis 1882 visitata parochiali Ecclesia Castni Pontis eamque ex omni parte impeditam ac glarea conspersam spectavimus, quoniam a supremo tabulato ad pavimentum tota erat in instaurationjbus negotiosa »

I Pontesi, invitati dall’arciprete Curato don Francesco Massano offrirono parte del danaro che occorreva alla realizzazione dei restauri che erano abbastanza notevoli.

Eseguirono i lavori « i mastri Donato Di Crosta fu Crescenzo, Andrea e Vincenzo Di Crosta fu Romualdo del Comune di Cerreto »

In pochi mesi la Chiesa era pronta (1 luglio 1883). La somma spesa fu di lire 3.900.

 La Chiesa

 La Chiesa badiale era intitolata a Santa Anastasia. Ma a quale delle Anastasia? Alla martire di Sirmio — legata alla « passio » di Crisogono — liturgicamente ricordata il 25 dicembre alla martire di Bretagna ricordata pure il 25 dicembre; ad Anastasia martire in Africa; ad Anastasia martire di Roma legata a Basilissa; ad Anastasia patrizia oppure alla santa monaca Anastasia, badessa nel 708 nel monastero benedettino di Ohren in Diocesi di Trevini, ricordata nel martirologio dell’Ordine benedettino il 9 settembre?

L’Atto di santa Visita di Mons. Savino del 1596 — riportato da Pescitelli — induce ad identificare la titolare della Badia con la martire di Sirmio. Il Vescovo infatti nel registrare che l’acqua santa era serbata, nella predetta Chiesa badìale, « in lapide marmoreo », nota che la piletta era « ad instar sepulchni, et apparet evidenter fuisse constructum olim per sepulchrum, et ex antiqua traditione dicitur fuisse sepulchri Sancti Crisogoni » legando, così, « la passio » di Anastasia con quella di Crisogono; legame che non pare esserci stato in quanto la « passio » latina che è l’originaria, quando riferisce di Anastasia « immagina» che la Santa rimasta vedova partisse da Roma per seguire Cnisogono imprigionato per ordine di Diocleziano, fatto poi decapitare da questi e sepolto ad Aquilea

Altra tradizione attribuisce alla martire romana legata a Basilissa, — riportate nel Martirologio romano il 15 aprile — il titolo della Chiesa badiale. I Bollandisti, però, osservano nel commento allo stesso martirologio romano che, esse « Romae piane ignotae sunt »

Altri dicono ad Anastasia patrizia, — celebrata nel Sinassario arabo il 26 tùbah (21 gennaio) —, ma questa non è martire  Potrebbe il titolo della badia attribuirsi alla monaca benedettina Anastasia coeva di S. Barbatò e per il fatto che trattasi di un monastero di monache benedettine e perché l’iconografia nella nostra Diocesi accostava a San Barbato (basiliano) — il quale volle diffuso nel Sannio l’Ordine benedettino — la monaca

benedettina Santa  Certo è che negli Atti di santa Visita, come nelle « relationes ad limina », non si trova mai il titolo di « Martire » vicino al nome di Anastasia quando si parla della Badia omonima in Ponte.

 La statua

 Si sa pure che nel 1797 l’arciprete di Ponte don Alessio Romano della terra di Casalduni « ha comprata — leggesi in una Memoria — una Statua di Santa Anastasia titolare della parrocchia per la quale si spesero docati settanta tra la Statua, pedagna e trasporto da Napoli. (Come si vede don Alessio non dice Martire la Santa né essa è quaiificata tale nell’iscrizione incisa sulla pietra dell’architrave della porta d’ingresso della parrocchia ove si legge « SS. Rosario 1878 e S. Anastasia »).

  L’iniziativa dell’arciprete — si legge ancora nella Memoria —non incontrò il favore del popolo tanto che « dai pontesi non si è voluta ricevere (la Statua) nella loro Chiesa, tanto vero che nella prossima passata ricorrenza della festa della Santa a preghiera dell’arciprete presso quei Ammjnistradoni dell’Università fu quella esposta alla pubblica venerazione dei fedeli pel solo novenanio, quale terminato fu nell’obbligo l’arciprete di riportare l’anzidetta Statua nella di lui casa »

« Più lo stesso arciprete — annota ancora il memonialista —per accrescere maggiormente la divozione verso Santa Anastasia, ha più volte preteso da quelli Amministradonj di costruire a proprie spese in un angolo di detta Chiesa di Ponte di Padronato di quella Università, una Cappella sotto il titolo di Santa Anastasia, con una sepoltura dentro di essa Chiesa pel solo uso de’ Sacerdoti, ma l’è stato sempre denegato pel timore, come essi Amministradori han detto, di restare la loro Chiesa pregiudicata ne’ suoi diritti; e nell’anno passato il coverchio d’una sepoltura di detta Chiesa essendo caduto dentro di essa, l’arciprete vi fece calare due persone a prenderlo pagando loro per la fatiga carlini sei i quali d’ordine di quei Amministradori furono a lui restituiti pel motivo predetto »

 

1 “Nel 760 fu fondata la chiesa di S. Sofia (nata come abbazia femminile) che è la prima tipica espressione dell’arte architettonica longobarda perché la struttura della chiesa abbandona per la prima volta la tipica struttura architettonica basilicale romana per tradurre in pietra la struttura della tenda del Sovrano longobardo  (conferenza di E. Galasso alla FIDAPA sul tema « Benevento tra i Lombardi » in Messaggio d’Oggi del 16-3-1978).

2 « San Benedetto possedea un territorio contiguo alle mura della Chiesa di detto Santo. . . ». «San Benedetto possedeva un territorio lavorando di moia venticinque in circa nel quale terreno sta la Chiesa diruta»(Arch. Curia Vesc.: Libro Magno).

3Commendatario da Commenda che, in materia beneficiaria consisteva nel conferimento di un beneficio ordinariamente di natura ecclesiastica. Il Commendatario ottenuto il titolo del beneficio o anche di una Chiesa come in «custodia », “cura », «guardia », prendeva l’appellativo di abate anche se la Chiesa non fosse stata in origine una badia. Nel periodo Carolingio e nel Regno franco si ebbero vaste usurpazioni di beni ecclesiastici da parte dei Sovrani, coonestate con gli oneri che questi dovevano sostenere per sottomettere le popolazioni infedeli, e così tollerate o alla fine ratificate dalla Chiesa; ed avvenne allora che i prìncipi dessero abbazie o conventi a loro favoriti, imponendo le consuete obbligazioni feudali; queste furono dette commende spurie. Il primo moto riformatore della Chiesa prese posizione contro la Commenda e in genere contro la pluralità dei benefici, e mirò ad eliminare le Commende in particolare quelle dei laici...

L’abuso dilagò particolarmente nel periodo Avignonese, sebbene Clemente V nel 1307 revocasse tutte le provviste fatte a titolo di Commenda di Chiese patriarcali, arcivescovili e di monasteri a richiesta di re o di magnati (e ciò ricordando il danno che veniva da tali conferimenti alla cura delle anime e alla conservazione dei beni...).Alla Sess. XXV, « de regul. et monial », can. 21, ricordava i mali che venivano nello spirituale e nel temporale, ai monasteri dati in Commenda...; che ai monasteri ora in Commenda fossero preposti dei regolari dello stesso Ordine in grado di reggere degnamente la Comunità; che ai monasteri, in avvenire, non fossero preposti che regolari di specchiata virtù. San Pio X (Giuseppe Sarto) abolì definitivamente i privilegi delle badie commendatarie con « motu proprio » del 1905. (Cfr. Encicl. Cattolica Città del Vaticano, 1950).

      4 « Circa un terzo di miglio dall’abitato vi esistono le sole muraglie e campanile della Chiesa arcipretale sotto il titolo di Santa Anastasia crollata fin dal 1811 (Arch. Curia Vesc.: Inventari e Platee).

Mons. Luigi Sodo guidò la Diocesi telesina dal 1843 al 1895. Il nome di questo pio e benefico Vescovo rimane nel tempo per lo zelo e la santità della sua vita nonché per il ginnasio-liceo di Cerreto Sannita a lui intitolato. Mons. Savino governò la Diocesi telesina dal 1596 al 1604.

Nel 1597 si trasferì a Guardia Sanframondi, e per qualche tempo « vi fè soggiorno ». Intervenne nel 1599 al XII Concilio provinciale Beneventano celebrato dall’arcivescovo Massimiliano de Palumbaria, ove fu ammirata e « lodata sommamente la sua consumata prudenza unita a profonda dottrina » (G. Rossi: op. cit.).

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