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Monumenti
«Ecclesia... S. Anastasiae... antiquae, et perpulchrae structurae est».
Dalla Abbazia, lungo la strada che da Ponte porta a Casalduni, si raggiunge la Grangia di San Dionigi, documentata in epoca normanna. Del X secolo, dipendente dall'abbazia di Sant' Anastasia, la struttura è ad aula unica con arco a tutto sesto che separa l'altare dal resto del locale. La famiglia Capobianco, che ne è proprietaria e che ha recuperato la struttura e curato personalmente il restauro nel 1997, consente ai turisti di visitare la grangia adibita a cappella. Il recente restauro ha evidenziato tracce di archi e l'esistenza di un passaggio che conduce dall'altare in un locale anch'esso inglobato nella casa, che probabilmente ospitava un eremita. Sull'altare affrescato si conserva una tela di San Dionigi dipinta con colori effetto "sinopia". Su lato posteriore si possono ammirare cippi funerari romani reimpiegati, con iscrizioni latine e con un' anfora scolpita. La Grangia di San Dionigi è aperta ai fedeli la prima domenica di ottobre in occasione della sagra delle castagne. In questo giorno viene anche celebrata una messa a cui possono partecipare i visitatori.
Ai margini dell'antica Via Latina si erge la splendida Chiesa badiale di Santa Anastasia, dichiarata nell'anno 1964 monumento nazionale. Fu edificata nell'ottavo secolo d.c. dai Longobardi, su una preesistente struttura, una villa romana, in un’area in cui è risultata una frequentazione già risalente al neolitico e poi all’età del ferro. Il complesso fu poi occupato dai monaci benedettini che si prodigarono per bonificare e dissodare i terreni e fu grazie alla loro operosità che questo luogo, dopo secoli, tornò a vivere. Nel 980 Pandolfo Capodiferro, principe longobardo, donò il monastero di Sant'Anastasia e alcune terre della zona di Ponte a Giovanni, abate del monastero di San Lupo di Benevento. Un diploma dell'Imperatore Lotario, confermato nel 1169 da un altro diploma di Enrico VI e da una bolla di Papa Onorio III, registra Sant'Anastasia tra i beni dell'Abbazia di Montecassino. Nel XIV secolo all'Abbazia fu aggiunta una torre con due campane. I Sacramenti restarono nell'Abbazia fino al 1569, anno in cui furono trasferiti nella chiesa della Santissima Trinità, costruita vicinissima al castello, presso le cui mura si erano spostati i pontesi. Nel 1596 i Sacramenti furono trasferiti nella Chiesa del SS. Rosario.Attualmente, del complesso badiale, si può ammirare la Chiesa e nonostante analisi architettoniche condotte, tutt’oggi occorrerebbe ancora chiarire se abbia nel tempo subito delle modifiche strutturali sostanziali e se sia davvero una chiesa alto medioevale o parte di un complesso tardoantico, non necessariamente ecclesiastico. Saggi di scavi archeologici nell’interno hanno portato al rinvenimento di una tomba longobarda, databile all'incirca nella metà del VII sec., che conservava ancora resti del corredo, tra cui armi in ferro ed una croce conservate nel Museo di Salerno.La pianta attuale è ad unica aula allungata con orientamento est – ovest, con ampia abside e misura 20,50 metri in lunghezza e, causa l’irregolare andamento dei muri laterali, in larghezza, variando di 20 centimetri, si rilevano: 9 metri nella parete dell’abside e 8,80 in quella d’ingresso. L’aula riceve luce da sei finestre strombate alte che illuminano un interno essenziale e suggestivo. Decorazioni in cotto a forma di palmetta e di croce con apici triangolari sono visibili all’altezza della prima finestra strombata, sul lato destro entrando. Graffiti e simboli religiosi scolpiti su di una pietra tufacea reimpiegata nel muro del campanile sono le tracce del passaggio dei pellegrini diretti al Gargano, a pregare nella Grotta di San Michele. La Chiesa parrocchiale era anche Arcipretale, intitolata a S. Anastasia, titolo che ricordava l’omonima Badia benedettina citata già in un Diploma del 980 e donde le origini della terra. Di questa Badia, scrive Mons. Iannacchino, «tuttora si ammirano le rovine coll’antico campanile ancora intatto e solo ha cangiata destinazione, cioè d’albergo di vivi in soggiorno di morti, formando oggi l’area del Camposanto di Ponte». La Chiesa di S. Anastasia, dunque, «extra moenia», secondo un documento del 1354, era posta «in pertinentiis dicti castri iuxta viam publicam et prope pontem...», ed alquanto distante dal centro abitato. Doveva essere un gioiello di architettura romanica, tanto da essere classificata da Mons. De Bellis «perpulchra»: «Ecclesia... S. Anastasiae... antiquae, et perpulchrae structurae est». Già nel 1596 il Sacramento era custodito nella Chiesa della SS. Trinità «pro populi commoditate», onde evitare il disagio di scendere dal monte in questa antica Chiesa badiale. Il fonte battesimale si trovava «sub fornice», ornato da una tela raffigurante il battesimo di Cristo. L’acqua santa era serbata «in lapide marmoreo ad instar sepulcri, et apparet evidenter fuisse constructum olim per sepulcrum, et ex antiqua traditione dicitur fuisse sepuicri S. Grisogoni... ». Su di esso erano scolpite delle immagini sacre. L’Altare maggiore era sotto una tribuna a volta. Sugli altri altari, pur non essendo del tutto sprovvisti del necessario, non si celebrava più. Essi erano l’altare intitolato a S. Antonio ed all’Assunta. L’altare di S. Michele Arcangelo, poi, aveva una tribuna a volta sostenuta da quattro antiche colonne. Negli anni successivi vengono solo descritti l’Altare maggiore e quello di S. Antonio. La Chiesa, infine, aveva una torre campanaria con due campane e, retrostante, il Cimitero. Non aveva Sacrestia e si celebrava solo nei giorni festivi
Costruita entro le mura del Castello ed inaugurata nel 1596, la chiesa, autentica vestigia di arte neoclassica, ha subito nei secoli successivi varie modifiche che comunque non hanno cambiato di molto la struttura originaria. Ricavata, in parte, dalla vecchia cappella del castello di Ponte, la chiesa ha pianta a croce greca, alte lesene e due cappelle laterali riccamente decorate. Entrando si nota che tutti i parametri della classicità sono stati rispettati anche se, in proporzione, ridotti. Basti vedere le lesene in ordine gigantico costituite da alto basamento e delle scalmanature "rudentate", cioè riempite per 1/3 del fusto e poi il particolare della trabeazione a cornicione, con l'uso della chiusura ad angolo di un motivo naturalistico, la "pigna". In fondo, la nicchia dell'altare maggiore reca il simbolismo mariano con le dodici stelle a corona; oggi, comunque, ospitante lo stupendo ed importante crocifisso ligneo posizionato senza deturpare l'ordine esistente. Tra gli oggetti sacri di notevole rilievo, si segnalano un piatto in ottone risalente al XVI sec., utilizzato per le offerte ed una bellissima statua in legno del 1700 riproducente Cristo legato alla Croce. La sagrestia è situata in una delle torri dell'antico castello.
Un diploma del longobardo Pandolfo, principe di Benevento dal 961 al 991, conservato nell'archivio Arcivescovile di Benevento nomina per la prima volta il comune di Ponte e consente di datare anche la fondazione del suo castello, posteriore all'Abbazia di Santa Anastasia (VIII secolo). Fu proprio dall'Abbazia che l'originaria comunità pontese cominciò ad allontanarsi per cercare un luogo più sicuro, protetto da incursioni e saccheggi, subiti dall'insediamento benedettino, costruito vicino ad una grande via di comunicazione. All’abate Giovanni veniva anche concessa la facoltà di costruire un castello e renderlo abitato. Il castello fu subito realizzato e già nell’anno 1087 il trasferimento della piccola comunità pontese, dall’abbazia al castello doveva essersi completato. E’, infatti, del 1087 un documento che cita come primo signore del castello di Ponte, Baldovino il Normanno, vassallo del conte Rainulfo. Il nuovo centro abitato fu difeso da mura e da torri; alcuni ambienti delle strutture medievali sono oggi inclusi in parte in case di privati ed in parte nella Chiesa del SS. Rosario. Nel 1134 il castello dovette subire, da parte di re Ruggiero il Normanno, il suo primo assedio con successiva capitolazione. La cronaca dell'assedio e della conquista del castello è descritta dall'abate Alessandro da Telese nell'opera "De rebus gestis Rogerii Siciliae regis". Ai tempi di Federico II fu posseduto da Nebulone di Ponte, il quale ebbe in custodia, prigioniero guelfo, il nobile piacentino Vitolo Palastuello. Nel 1266 fu occupato dalle truppe francesi di Carlo d’Angiò, prima della famosa battaglia con Manfredi di Svevia. Il nuovo sovrano francese, nel 1269, donò il castello a Giovanni Frangipane della Tolfa che, con il suo tradimento, aveva permesso la cattura di Corradino di Svevia. Con tutto il paese il Castello soffrì le gravi calamità che colpirono il territorio di Ponte nella prima metà del XIV secolo: la carestia, una epidemia di peste e un terremoto. Parti del centro storico fortificato furono così irrimediabilmente perse. Le torri superstiti, di forma cilindrica, poste agli angoli del fortilizio a base approssimativamente quadrata, sembrano rimandare alle architetture castellari del XII secolo e sarebbero un rifacimento dell'originaria fortificazione del X secolo. Dell’originario maniero che doveva avere sette torri cilindriche di avvistamento e di difesa, oggi sono ben visibili solo quattro torri, altre due si trovano invece entro le mura che servivano a separare il palazzo ducale dal resto delle residenze. E' di particolare suggestione girovagare oggi tra gli stretti vicoli del borgo medioevale alla scoperta di angoli caratteristici.
Nei pressi dell'Abbazia, si notano i resti del ponte di epoca romana che ha dato il nome al paese. Il pons sul torrente era l'unico in pietra, ad pontem lapideum, tra gli altri che attraversavano l'Alenta. Nel crocevia del ponte e della Via Latina transitavano i pellegrini diretti al Gargano che visitavano per l'occasione l'Abbazia. Ai tempi dei Baroni di Ponte, è certa la presenza in prossimità del ponte di un luogo chiamato ancora oggi "borgo-taverna" dove i viandanti potevano riposare. Per attraversare il ponte dovevano pagare il pedaggio ai signori del castello. Il ponte è anche documentato come svincolo per i tratturi della transumanza. Questi luoghi sono stati testimoni anche di fatti tragici e violenti, come quelli accaduti nell’ottobre 1943, quando, come ricordato in un inedito memoriale dal generale tedesco von Vietinghoff "…. presso il ponte della località Ponte si registrarono il 7 ottobre violenti scontri, nel corso dei quali il nemico riuscì a formare (e a difendere con successo ) delle teste di ponte. Tutti i contrattacchi fallirono. Le speranze di aver trovato sul Calore una posizione difensiva che avrebbe potuto essere mantenuta per un periodo più o meno lungo andava scemando".
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