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ALLE ORIGINI DI UN CENTRO RURALE

NEL PRINCIPATO LONGOBARDO DI BENEVENTO:

DALLA CHIESA AL CASTELLO A PONTE

ESTRATTO DA CAMPANIA SACRA

DI MARCELLO ROTILI- 1977-78-.

 

Nel licenziare le pagine di questo lavoro desidero esprimere la più viva riconoscenza al prof. Mario Del Treppo, che ha incoraggiato e seguito la mia ricerca dandomi non pochi, preziosi suggerimenti. Sento poi il dovere di ringraziare il prof. Boris Ulianich, che ha accolto con favore il risultato dell’indagine da me compiuta e mi ha consentito di pubblicarlo, e quanti, in maniera diversa, mi hanno aiutato: dan Vittorino Morone, parroco di Ponte, il quale con liberalità mi ha fornito, insieme con molte importanti notizie, un inedito documento fotografico e mi ha permesso di effettuare i rilievi della chiesa; il sig. Sabatino Mazzarelli, al confine della cui proprietà sorge la chiesa stessa, che pure ha facilitato la mia indagine sulle sue superstiti strutture; don Tommaso Leccisotti e doti Faustino Avagliano, i quali mi hanno permesso di studiare la documentazione relativa a S. Anastasia che si conserva nell’Archivio dell’Abbazia di Montecassino; S. E. mons. Felice Leonardo, vescovo di Telese-Cerrcto, e don Antonio Tela, che mi hanno consentito di esaminare l’analoga documentazione conservata nell’Archivio della Curia Vescovile di Cerreto Sannita; Carlo Carolla che ha fattivamente collaborato alla realizzazione dei grafici. Infine un ringraziamento del tutto particolare devo all’amico Valerio Gramignazzi-Serrone che ha realizzato il documentario fotografico.

 

 

 

LA CHIESA DI S. ANASTASIA.

 

 

Nelle immediate vicinanze del centro abitato di Ponte, un piccolo comune della provincia di Benevento, distante circa 15 km. dal capoluogo, in prossimità del punto in cui il torrente Lenta confluisce nel Calore, si possono vedere i resti di una chiesa comunemente indicata con il titolo di S. Anastasia.

Si tratta di una grandissima porzione delle strutture murarie, se dell’edificio ad aula rettangolare con accentuato sviluppo longitudinale, con un’ unica grande abside e con un prospetto articolato dalla presenza di un corpo di fabbrica che aggetta peraltro anche verso l’interno i muri perimetrali, dello spessore di cm. 65, sono conservati per la massima parte quasi fino al punto ove doveva essere il piano d’imposta del tetto, e se soltanto le strutture del corpo di fabbrica che si trova a ridosso del muro di facciata, sia all’esterno che all’interno, appaiono seriamente danneggiate.

Ma, in realtà, si deve dire che la chiesa, sulla quale manca qualsiasi studio essendo stata solo citata, talvolta anche in modo poco chiaro, in lavori d’interesse puramente locale, si presenta oggi in queste condizioni per effetto di un restauro condotto con attenzione nel 1964. Prima di parlarne, desidero, in via preliminare, avvertire che, in mancanza di una relazione e persino di una semplice notizia di tale restauro per definirne i risultati ho dovuto fare affidamento sul ricordo delle persone che vi assistettero e che lo seguirono e colgo l’occasione per dire che a testimonianze orali ho dovuto necessariamente affidarmi anche per ricostruire le altre vicende della chiesa nel corso di questo secolo .Purtroppo, durante,i lavori eseguiti nel 1964 non vi fu la possibilità di giungere ad un completo ripristino dell’edificio, ma esso venne almeno privato colle strutture che in epoca moderna vi erano state aggiunte per consentirrte la trasformazione in cimitero(1): anzitutto il muro che, all’altezza del gradino distante m. 6,30 dall’abside, aprendosi in un arco centrale a tutto sesto, divideva il presbiterio dal resto della chiesa, i corpi di fabbrica addossati alle pareti laterali fra tale muro e la parete absidata nei quali si aprivano i loculi a fornace, ed infine le superstiti strutture di un edificio in parte addossato alla facciata, sulla sinistra come si può vedere in una inedita fotografia del 1900, che costituisce un documento molto importante per ricostruire le trasformazioni subite dalla chiesa edificio che era la casa del custode del cimitero. Inoltre le strutture murarie antiche vennero tinforzate grazie ad opere di consolidamento delle fondazioni, in alcuni punti furono riprese e integrate e per un tratto interamente rifatte.

Del resto, l’edificio doveva avere bisogno di un sostanzioso intervento per i danni subiti nel tempo. Ancora agli inizi del 1934 esso era coperto dal tetto solo per un tratto: all’incirca la zona del presbiterio delimitata dal muro con arco centrale, ove erano le strutture cimiteriali descritte, delle quali, peraltro, è traccia in residui di muratura affiorani sul terreno nei punti in cui, ai lati dell’abside, manca il pavimeto in cotto che è davanti a quest’ultima e forse nelle strutture murarie che si intravedono ai lati della cripta di cui si dirà. Inoltre nel settore scoperto, lungo i muri laterali, ospitava tombe ad inumazione come lascia intendere ancora la mancanza di pavimentazione e la leggera sopraelevazione del terreno, evidentemente smosso, ai lati di un corridoio non largo lungo il quale la terra è soda e battuta. Ma l’11 marzo 1934 la chiesa subì un grave incendio che fece crollare il tetto, danneggiò le strutture murarie e costrinse a provvedere alla costruzione di un nuovo cimitero che fu consacrato, come si è detto, nel 1935 Il trasferimento del camposanto, condotto peraltro in maniera sbrigativa se, come ancora si può costatare, a ossario comune di defunti senza nome venne destinata la cripta che per m. 6 di larghezza per 3 di lunghezza per 3 di altezza circa si apre al di sotto della zòna presbiteriale ad essa si accede attraverso un’apertura di in. 1,37 x 1,04 con quattro gradini, collocata a m. 3,97 dall’abside e a cm. 88 dal gradino che delimita il presbiterio e a distanza uguale dai muri laterali; essa, inoltre, è l’unica perchè non ad una cripta ma ad una fossa (una tomba?) di m. 2 x 2 circa porta l’altra apertura esistente sul piano della chiesa a m. 9,16 dalla parete absidata, a m. 3,65 dal muro laterale sinistro e a m. 4,10 da quello destro  dovette avere una ripercussione forse ancor piu grave dell’incendio. Causò, nfatti, l’abbandono e il progressivo deterioramento dell’edificio cui il restauro ha restituito almeno un aspetto decoroso. Inoltre, prima ancora del 1934, intorno al 1927, la chiesa aveva subito un altro grave colpo.    Si è detto che al muro di facciata è addossato, sia all’esterno sia all’interno, un corpo di fabbrica In realtà esso, che è estremamente irregolare, si trova proprio a cavaliere di tale muro e, sporgendo all’esterno per m. 2,50 circa, all’interno in media per cm. 80, si sviluppa verso l’alto con una struttura a torre. Presenta inoltre quattro aperture arcuate, due verso l’esterno e due verso l’interno. Nel primo caso si tratta di una grande nicchia, larga in. 2,41 all’estremità esterna e 2,35 a quella interna, corrispondente all’ingresso, e di una monofora con arco rientrato; nel secondo di un’apertura di m. 2,67, sormontata da un arco che inquadra una lunetta con i resti di un affresco, e di una monofora priva di arco rientrato, rispettivamente in corrispondenza dell’ingresso e della finestra. Questo corpo di fabbrica, costituito da due elementi sovrapposti, dei quali quello superiore, leggermente rientrante sui lati — tuttavia tale rientranza manca all’interno sul lato sinistro di finestre in origine doveva averne quattro e non due, come è dato di vedere oggi, è quanto resta di un campanile ed esso, già da qualche anno danneggiato nella copertura ma con la cella campanaria ancora esistente e funzionante, crollò appunto intorno al 1927. Nella porzione che di esso oggi sporge sulla facciata della chiesa è possibile distinguere, sul lato destro, le linee di una monofora che imposta sullo stesso piano delle due tuttora esistenti ma che è un pò più alta di queste, che come una di queste presenta un arco non rientrato, che misura in larghezza circa cm. 60 e dista dalla facciata del campanile m. 1 circa, oggi chiusa; ed è possibile riconoscere, su1 lato sinistro, le linee della parte inferiore di una finestra che doveva avere le stesse caratteristiche dell’altra. Non si può dire con precisione quali danni il crollo abbia arrecato alle strutture di S. Anastasia e della casa che vi era stata addossata, ma è plausibile pensare anzitutto che in qualche misura vi siano stati e che anche ad essi abbia dovuto porre riparo il restauro del 1964. Del resto, il campanile, che nel 1900 era ancora intatto, come afferma lo Iannacchino e come prova la fotografia inedita, scattata proprio in quell’anno, della quale si è detto , era struttura solida ed elevata. Sarà bene, anzi, esaminare tale immagine, non eccellente da un punto di vista tecnico, ma di rilevante importanza documentaria, con il duplice scopo di farsi un’idea dell’entità delle modificazioni subite dall’edificio nel corso del secolo e di incominciare a ricostruire l’aspetto che esso doveva avere in antico.

Nella fotografia del 1900 le strutture oggi visibili sono sormontate da altre tre sezioni: una, rientrante sui lati, e, per quel che lascia intendere l’immagine, anche sul prospetto — naturalmente a tale rientranza altra doveva corrispondere sulla facciata volta verso il tetto della chiesa che si apriva in due finestre più ampie di quelle della sezione sottostante, molto probabilmente due bifore, se esse, in analogia con quanto avveniva appunto nella porzione della fabbrica immediatamente al di sotto — ma la fotografia non consente di appurano noti erano quattro; un’altra, più bassa e cieca, separata dalla precedente, della quale conserva la sezione, solo da una cornice una cornice, stando a quel che è dato ancora di vedere, sottolineava la separazione anche fra la seconda e la terza sezione una terza, infine, pure bassa, aperta in due monofore, se esse non erano quattro come nel caso precedentemente esaminato, e rientrante, forse su tutti e quattro i lati, rispetto alla sezione sottostante, dalla quale sembra la separasse anche una cornice, sormontata da una cupoletta conica, in cui era la cella campanaria. A questa, come le dimensioni delle strutture superstiti fanno pensare, l’accesso doveva essere consentito da una scala a pioli, e del resto sul lato sinistro della grande apertura a nicchia, a cm. 52 dal portale, era una piccola porta, oggi chiusa, con un semplice architrave costituito da una lastra di pietra, alta m. 2,03 e larga cm. 80, evidentemente accesso allo stretto vano della scala. La fotografia del 1900, nella quale, peraltro, a riprova di quanto è stato già detto, l’edificio nella zona di facciata risulta privo di copertura, consente inoltre di appurare meglio quale tipo di tetto esso doveva avere. Oggi la parete absidata presenta una terminazione a triangolo e ciò lascia intendere che la copertura della chiesa doveva essere costituita da un tetto a due spioventi, evidentemente a capriate in legno. Ma, sulla facciata, gli spioventi mancano ed inoltre, nei suoi pressi, i muri laterali — oltre che le sue stesse strutture soprattutto sul lato destro — sono più alti che in vicinanza della parete di fondo. Ciò potrebbe far pensare che lì la copertura fosse diversa, forse in conseguenza del fatto che i muri erano stati rialzati in quei punti e che il tetto era stato modificato. La fotografia, in realtà, permette di affermare che nel 1900 tali spioventi esistevano anche in facciata — ove, anzi, oltre alla casa in parte addossata alla parete sinistra, aderenti a quella destra, per quel che è dato di vedere, erano i resti di strutture murarie che non è possibile definire — per cui un tempo la copertura dell’edificio non poteva non essere uniforme per tutta la sua lunghezza. Essa, perciò, induce a ritenere che se oggi la terminazione triangolare della parete absidata presenta un’elevazione alquanto ridotta rispetto a quella che hanno le strutture nei pressi della facciata e rispetto a quella che verosimilmente le pareti dell’edificio dovevano avere in tutta la loro lunghezza, come dimostra la mutilazione delle monofore a croce poste a m. 1,07 dalla parete absidata, di cui si dirà, e quindi un’inclinazione rispetto alle ipotizzabili strutture originarie tale da non consentire di sostenere un tetto con spioventi dalla pendenza adeguata, ciò è dovuto al fatto che essa, evidentemente un tempo più alta e slanciata, in parte è crollata. I danni subiti dalla chiesa sembrano averne alterato strutture e rapporti concepiti con logica e con rigore. Ma questi, che si è tentato di ricostruire anche grazie alle testimonianze orali e alla fotografia del 1900, avevano subito modifiche ed alterazioni già in antico.

Nella chiesa, della quale è stato sommariamente descritto l’aspetto risultante dal restauro del 1964, che, nel recepire e consolidare le parti antiche, ha eliminato le sovrastrutture cimiteriali e riparato i danni prodotti dall’incendio del 1934 e dal precedente crollo del campanile, le stratificazioni moderne rappresentano episodi non privi di riscontro nel passato. In altre parole, l’aspetto che S. Anastasia presenta attualmente e, in fondo, anche quello che, relativamente al campanile, trapela dall’immagine del 1900 è la risultante di sovrapposizioni avvenute già in antico, che è necessario individuare per coglierne la portata ed i momenti e per giungere all’identificazione ed alla definizione della struttura originaria dell’edificio.

Questo sembra manifestazione non trascurabile di quell’architettura sacra fiorita nell’Italia meridionale longobarda quasi interamente dopo l’VIII secolo. Non dissimile per la pianta descritta dalla chiesa di S. Pietro a Corte di Salerno dell’VIII secolo”, da quella di S. Michele a Corte di Capua della metà del X dalla basilica del SS. Martiri di Cimitile della fine del IX-primi del X secolo”, per fare solo alcuni esempi di edifici d’età longobarda che si rifanno ad un impianto molto diffuso sin dall’epoca paleocristiana, la chiesa presenta caratteristiche strutturali e stilistiche tali da consentirne, attraverso appropriati riscontri, una datazione sicura. Eppure, come si diceva, sono percettibili in essa le sovrapposizioni che un’accurata indagine, condotta attraverso l’analisi delle tecniche di costruzione e dell’impianto architettonico, consente di definire.

È costruita in solida muratura listata ottenuta mediante l’alternanza di due file di ciottoli di rado rozzamente squadrati e di una fila di mattoni dallo spessore variabile, visto che esso è talvolta di cm. 5, talvolta perfino di cm. 2,5. Nella parte superiore della parete absidata si ha però l’alternanza fra una fila di ciottoli squadrati ed una fila di mattoni. Inoltre presenta interamente in laterizio gli archi dell’abside e delle finestre che si aprono nella parte della sezione superiore del campanile che sporge sulla facciata principale, mentre in altre parti, come si vedrà, si riscontra l’uso combinato di laterizi e di blocchi di pietra scura. Tale tipo di muratura è particolarmente benvisibile nelle facciate interne e in vaste zone di quelle esterne dei muri longitudinali, sulla superficie interna e su gran parte di quella esterna della parte non absidata della parete di fondo e sulla superficie interna dell’abside fino al punto dal quale si sviluppa la struttura del catino in mattoni strettamente e saldamente connessi. Sulla superficie esterna dell’abside, che un tempo doveva essere coperta da un tetto, esso è interpretato con una maggiore libertà poiché le file di pietre alternate a quella di mattoni sono di numero variabile. Naturalmente tutto ciò vale per le parti autentiche: In quelle restaurate il tipo di muratura suddetto è tuttavia ripreso o semplicemente riecheggiato con discreta puntualità. Sul lato interno e su quello esterno del muro di facciata e sulle quattro facce del campanile esso è, invece, assai meno chiaramente leggibile.

Il uro di facciata, a cavaliere del quale, come si è detto, è disposto il campanile, a sinistra è rifatto — si parla del restauro del 1964 — per m1,75 complessivi m. 2,17 le misure si riferiscono all’interno ma all’esterno il rapporto varia di poco e qui, nella parte antica all’interno, sulla quale a m. 2,85 da terra sono i resti di un affresco, molto importante per risolvere il problema delle successive stratificazioni, di cui si dirà, presenta una struttura non facilmente riportabile a quella che avevano le altre pareti dell’edificio se non in qualche punto della parte più alta e limitatamente a questo aspetto, che cioè sono impiegate pietre squadrate, come nella parete absidata, e la muratura assume una certa regolarità. La stessa cosa si riscontra all’esterno. A destra, ove solo in qualche punto il muro è stato ripreso nel 1964, sia all’interno che all’esterno le cose stanno in maniera non molto diversa. Se nelle zone non alte esso presenta una struttura non molto simile a quella che hanno le altre pareti, nelle parti più elevate offre invece un aspetto più regolare e mentre in qualche punto all’interno pare addirittura riprendere murature antiche, all’esterno mostra i resti di un arco in laterizio che sembra essere, con l’affresco, di importanza determinante per affrontare il problema delle sovrapposizioni successive e quindi, procedendo a ritroso, del primitivo aspetto della facciata.

Il campanile, a sua volta, presenta una struttura ancor più lontana da quella che ha il resto dell’edificio. Mentre sulla base della fotografia del 1900, che ben poco lascia intravedere, è impossibile pronunciarsi su quella che dovevano avere le tre sezioni superiori, la muratura delle due superstiti mostra con tutta evidenza questo carattere. Costituita alla base da solidi blocchi squadratisicuramente di spoglio, come provano la trave, sulla quale è stata incisa una croce poggiante su di un piccolo trapezio, utilizzata con funzione di stipite della porta di accesso al campanile, il masso recante un iscrizione fortemente danneggiata usato come pietra angolare alla base del pilastro sinistro di sostegno del campanile all’esterno, o ancora il blocco che è alla base del pilastro sinistro, all’interno, recante una cornice di forma rettangolarepresenta agli angoli, a varie altezze, altri blocchi, per lo più di dimensioni minori. Per il resto appare costituita da pietre, di provenienza non diversa da quella che devono avere le altre utilizzate nella muratura della chiesa verosimilmente i vicini fiumi il più delle volte squadrate, ma anche fortemente disuguali fra loro, disposte in maniera ben diversa da quella seguita nel resto dell’edificio. Non solo manca la regolare alternanza di fasce in pietra ed in mattoni, ma le pietre sono disposte senza seguire alcun disegno. Una casualità minore è forse nell’arco della grande nicchia d’ingresso, sormontato peraltro da un secondo arco di scarico, i cui estremi si perdono nella muratura, che ha le medesime caratteristiche costruttive del primo, nel quale pietre squadrate si alternano a mattoni, e certo una studiata regolarità si ravvisa nell’arco che è sulla parete di facciata verso l’interno, costituito da blocchi di pittura scura di dimensioni regolari alternati a laterizii mattoni sono due dopo la prima pietra ed inoltre, nel punto in cui l’arco imposta sui pilastri di sostegno, che un tempo dovevano essere affrescati, a sottolinearne il distacco da questi, sono, quasi con funzione di grandi mensole, due lastroni pure in laterizio e negli archetti delle finestre, in mattoni quelli delle monofore sulla facciata esterna e sulla facciata laterale, in blocchi di pietra scura, simili a quelli del sottostante arco e come in questo alternati a laterizi, quello della monofora che si apre verso l’interno, come si è vitto. Ma si tratta difatti puramente episodici, i quali non possono consigliare un riscontro con le altre murature dell’edificio, eccezion fatta per alcune parti della facciata. Fra tutte le strutture della chiesa occorre operare, dunque, una precisa distinzione. Un carattere proprio presentano la parete absidata e i muri laterali nelle loro parti antiche. E giova precisare che quello sinistro, particolarmente divergente come dimostra la variabile larghezza della chiesa, subì un rifacimento, peraltro realizzato con assoluta fedeltà al tipo di muratura, già in antico dal punto, indicato da una linea di frattura ben riconoscibile, situato a in. 6,30 dalla parete di fondo, e che pure in antico esso venne restaurato solo all’esterno, peraltro senza che venisse rispettata l’originaria struttura, in una zona non molto ampia, quasi nel punto in cui esso fa angolo con la parete di fondo. Un carattere diverso, ma che talvolta ri4tiama in qualche modo il precedente, presenta il muro di facciata. Un carattere ancora più distante e sarebbe il caso di dire — una completa differenza presenta la muratura delle superstiti sezioni del campanile. Attraverso l’analisi delle tecniche di costruzione sembra di potere individuare strutture corrispondenti a momenti diversi e cioè stratificazioni che il tempo e le vicende della chiesa hanno provocato.

Ora, è necessario definire i momenti precisi in cui sono avvenute queste sovrapposizioni ed a ciò è preliminare stabilire quante esse sono state. Ancora una volta può venire incontro l’analisi delle tecniche di costruzione.

Stando alle caratteristiche della muratura sembrerebbe di poter attribuire ad un momento i muri laterali e la parete absidata, ad un altro ben distinto da questo le sezioni del campanile e ad uno intermedio il muro di facciata. Senonché le strutture del campanile appaiono disporsi quasi a cavaliere di quest’ultimo, osservando quel distacco di alcuni centimetri delle murature che, caratteristico dei corpi di fabbrica aderenti alle facciate di alcune chiese esso è documentato nelle chiese di S, Vitale a Roma, di S. Lorenzo a Napoli e nella basilica di S. Maria di Compulteria presso Alvignano, di cui si dirà, nella quale peraltro la contemporaneità del nartece al resto della costruzione è attestata con assoluta sicurezza dall’identità del suo pavimento e di quello della retrostante navata -è qui mantenuto forse per assicurare autonomia costruttiva, indipendenza statica al nuovo corpo di fabbrica che, del resto, con la sua mole non poteva gravare sul muro di facciata senza comprometterne la stabilità. Tale distacco è particolarmente ben visibile sul lato destro di questo muro, tanto all’esterno che all’interno, per tutta l’altezza delle strutture oggi esistenti. Esso è ben visibile anche sul lato sinistro, ugualmente sia all’esterno che all’interno, ma non per tutto lo sviluppo verticale della fabbrica. All’esterno oggi esso è solo sulla sommità del muro, ove anzi si ha proprio la sensazione di come il campanile si disponesse a cavaliere della parete di facciata, essendo stata evidentemente colmata con intonaci, nel corso del restauro del 1964, la fenditura che in quell’anno tra questi due elementi ancora doveva esistere se fu necessario allora intervenire sulla parete non proprio fino a quel punto. Non è improbabile che, nel momento in cui il campanile venne addossato al muro di facciata, questo, che forse aveva subito danni nel corso del tempo e per il quale si imponevano esigenze di ristrutturazione, sia in parte crollato o comunque abbia richiesto un intervento di consolidamento che molto ne ha alterato l’aspetto. Le strutture del campanile, così diverse da quelle della chiesa, e le strutture del muro di facciata, già definite come intermedie tra le une e le altre, rifletterebbero cioè un intervento avvenuto nello stesso momento, che ha avuto risultati diversi solo perché il campanile veniva edificato ex novo mentre la facciata veniva solo consolidata. La prova che, nel momento in cui fu edificato il campanile, il muro già danneggiato subì ulteriori danni e venne ricostruito almeno in parte sembrerebbe essere negata dal fatto che, all’interno della chiesa, l’arco di sostegno del campanile stesso si sovrappone ad una parete che era stata affrescata più anticamente. Esso infatti inquadra una lunetta con tracce di un affresco assai malridotto, ma è staccato da quest’ultimo di circa cm. 5 e si può vedere con assoluta chiarezza che il dipinto prosegue ovunque al di sotto delle strutture del campanile. In particolare, sulla ristretta porzione antica superstite della parete di sinistra, grazie al distacco delle murature che per breve tratto ancora si conserva si è detto che qui tale distacco non è più riscontrabile ovunque, ma questa è un’eccezione-si può vedere che, a m. 2,85 da terra, come si è detto, l’affresco prosegue oltre le stesse strutture del campanile. Si potrebbe pensare che, grazie alla tecnica del distacCO delle murature, la quale conseguirebbe così anche un altro scopo, l’architetto che ha innalzato la torre campanaria abbia voluto conservare l’affresco. Si dovrebbe ipotizzare, così, che all’epoca il muro fosse integro e che solo in un secondo momento, evidentemente inseguito ad alcuni crolli che avrebbero determinato anche la sorte del dipinto, esso abbia subito i rimaneggiamenti dei quali è traccia oggi.

Ciò, tuttavia, sembra essere contraddetto in maniera perentoria, se non dal fatto che l’irregolare strutturazione della parete di facciata e del campanile che la sormonta non deve essere il frutto di diverse sovrapposizioni ma la conseguenza di un unico intervento di trasformazione, dalle modificazioni che la costruzione del campanile ha prodotto in facciata. Di queste si dirà più avanti, ma appare evidente quanto, almeno indirettamente, esse documentano, e cioè che allora non possono essere state le uniche, a meno che non si debba pensare che esse siano state apportate solo all’esterno, per di più limitatamente alla porzione della facciata interessata dall’edificazione del nuovo corpo di fabbrica. Per quanto riguarda l’affresco, si deve pensare invece che, essendo il muro di facciata danneggiato nel momento in cui veniva costruita la torre campanaria, l’architetto abbia voluto salvarne, per evidenti ragioni decorative, la parte superstite.

Ora, precisato che nella chiesa si ravvisano due stratificazioni antiche, o meglio che sulla struttura originaria venne operato un intervento di trasformazione, è possibile stabilire i momenti precisi dell’una e dell’altro. E ciò si farà non senza soffermarsi ancora sulle caratteristiche delle strutture originarie e di quelle meno antiche per cogliere le profonde differenze stilistiche, ed anche qualitative, che esistono tra loro, per individuare particolari e motivi sicuramente qualificanti.

S. Anastasia, che misura in lunghezza m. 20,50, mentre in larghezza, a causa dell’irregolare andamento del muro laterale sinistro di cui si è detto, presenta misure che variano di circa cm. 20 m. 8,56 all’altezza dell’abside e 8,54 a m. 2,50 dalla parete di facciata, m. 8,32 all’altezza del gradino collocato a m. 6,30 dalla parete absidata — si presenta con una spazialità singolare. Una sorta di convergenza prospettica determinata dalle stesse dimensioni, e cioè dal rapporto fra lunghezza, larghezza ed altezza, e dall’esistenza di un’abside molto profonda, ellissoidale, che occupa gran parte della parete di fondo, ed inoltre accentuata dalle direttrici che la muratura, così geometricamente definita ed orientata, disegnava anche in antico proiettando nella cavità absidale vere e proprie linee di forza, organizza ed indirizza quasi lo spazio attorno all’altare, realizzando una concentrazione ottica che non sembra separabile da una intenzione sacrale. Si potrebbe obiettare che le pareti interne della chiesa dovevano essere ricoperte da intonaci, forse affrescati, nel qual caso la muratura non avrebbe svolto questa funzione orientatrice dello spazio. Nell’abside, qua e là, si possono rilevare con sicurezza le tracce di tre diversi strati di intonaci affrescati e sulla parete d’ingresso, come si è visto, sono i resti, assai scarsi e malridotti tanto da renderne quasi impossibile la lettura, di un affresco che doveva ricoprirla tutta. Ma, in realtà, solo queste parti dell’edificio dovevano essere intonacate e affrescate. Infatti, non solo sulle altre pareti mancano residui di. intonaci, ma, disposte in punti certo scelti non a caso, e del resto su tutte le altre pareti originali però solo all’interno dell’edificio a—, vi sono decorazioni in laterizio molto significative, la cui presenza porta a escludere l’esistenza di qualsiasi rivestimento che peraltro, a maggior ragione, doveva mancare anche all’esterno. Si tratta di due croci di forma latina con terminazioni in piccoli trapezi collocate sui due tratti della parete di fondo ai lati dell’abside, ad un’altezza da terra di m. 1,90 e di una terza croce identica alle precedenti, affiancata da una palmetta, che si trova, ad un’altezza molto maggiore, sulla parete destra della chiesa. A tale croce con palmetta altra doveva corrisponderne sulla parete di sinistra, ricostruita, nello stesso punto. Verrebbe meno, in caso contrario, quella regolarità geometrica, quel senso della simmetria cui la costruzione pare ispirarsi in tutte le sue parti, soprattutto le più antiche, insomma quel giuoco di rispondenze che sembra trovare eloquente testimonianza proprio nella ripresa, quasi certa per quel che è dato di vedere, del motivo della croce nelle finestre che sono sulla sommità, alquanto danneggiata, come si è detto, dei muri laterali, non lontano dal punto d’incontro di questi con la parete absidata.

Nella Longobardia meridionale il migliore riscontro per questa chiesa è offerto da S. Maria di Compulteria, una basilica situata presso Alvignano nella valle del medio Volturno, ad una distanza di circa trenta chilometri da Capua e da Caserta, non lontano dalla via romana che collegava Caiatia, l’odierna Caiazzo, ed Alifae. Si tratta di un edificio di grande importanza, tanto che anche Fernanda de’ Maffei, nel recente studio su Sant’Angelo in Formis, riconoscendo la piena validità dell’opera condotta dal suo scopritore, restauratore e studioso, lo ritiene un autentico caposaldo di quel « discorso architettonico regionale » nel quale è opinione della de’ Maffei sarebbero da inserire le due basiliche di S. Benedetto e di S. Salvatore fatte costruire rispettivamente a Montecassino e nel luogo ove ora sorge Cassino dall’abate Gisulfo (789-817), la basilica costruita Montecassino nel X secolo, la basilica di Sant’Angelo in Audoaldis di Capua ed infine la basilica di Sant’Angelo in Formis e quella desideriana di Montecassino, con tutti gli edifici che all’una e all’altra rispettivamente si connettono.

Da Antonino Rusconi. che, dopo averla scoperta, ne ha curato il restauro, essa è ritenuta cattedrale di un centro di origine sannitica

—      Kupelternum divenuto in epoca romana ed altomedioevale Compulteria o Cubulterna o anche Cupulteria ricordato in due epistole di papa Gregorio Magno del 599 centro che, dopo essere stato ricostruito dai Longobardi i quali l’avevano forse devastato in precedenza, era completamente scomparso alla fine del X secolo. Questo al Rusconi sembra infatti dimostrare un documento del 1012 ove la chiesa, già ricordata con indicazione precisa del titolo ed in maniera analoga per quanto riguarda la località in un privilegio di consacrazione del vescovo di Caiazzo, Stefano, del 1° novembre 979, viene denominata oramai « Sancte Marie que dicitur ad Cobulterie » e non « de » o «in » come sarebbe avvenuto se si fosse trovata in un centro ancora popolato, mentre viene contemporaneamente ricordata la vicina località di Alvignano, dalla quale evidentemente doveva oramai dipendere. Dopo l’attento restauro seguito alla sua individuazione nel 1951 si presenta oggi con la sua pianta originaria orientata da est verso ovest, è a tre navate. Lunghe m. 19,90 e larghe m. 8,20 la maggiore, m. 3,80 le minori, attualmente comunicano con l’esterno mediante quattro porte: tre sulla facciata maggiore quella centrale, minori le due laterali arcuate, ed una, piccola, pure arcuata, quasi a metà della navata di sinistra, cui si può ipotizzare ne corrispondesse un’altra anche sulla navata di destra della quale oggi è scomparsa persino buona parte delle fondazioni  Sulla parete di fondo si apre un’ampia abside con un diametro interno di m. 5,90, perfettamente semicircolare anche all’esterno e mentre la navata di sinistra presenta una sistemazione singolare perché il muro del lato meridionale in prossimità dell’abside si apre per fare posto ad un piccolo sacello laterale, per tutta la lunghezza della facciata doveva avere un nartece a cinque archi, come lasciano intuire le strutture superstiti. La pianta della chiesa è evidentemente molto diversa da quella di S. Anastasia di Ponte, ma per alcune caratteristiche quest’ultima trova in essa una straordinaria rispondenza.

Un primo elemento di rispondenza è la muratura listata del tipo che si ritrova nella Longobardia meridionale nella seconda metà dell’VIII secolo nella chiesa di S. Sofia di Benevento, ove tuttavia è più fine e regolare e nella chiesa dell’Annunziata di Prata, un edificio peraltro parzialmente ricavato nel tufo ottenuta a S. Maria di Compulteria normalmente mediante l’alternanza di uno strato di tufelli squadrati rozzamente con una fila di mattoni dello spessore di 3 cm. circa due strati di mattoni compaiono solo in alcuni punti, per esempio dove impostano gli archi delle finestre o dove appoggiano i travi dei tetti delle navate laterali e a Ponte realizzata con maggiore rozzezza nella maniera già indicata. Inoltre, in S. Maria di Compulteria i pilastri tra le finestre della facciata esposta verso mezzogiorno ed una parete interna presentano decorazioni in laterizio in gran parte simili a quelle di S. Anastasia e tali da permettere di dire che i muri esterni ed interni non furono mai intonacati, come avveniva appunto nella chiesa di Ponte, tranne che nei due casi già indicati. Ad eccezione del sole radiante che a Ponte manca, le croci— due sulla facciata esterna, una su una parete interna richiamano infatti quelle di S. Anastasia, la cui forma è peraltro esattamente riprodotta su un frammento dell’iconostasi della chiesa di Compulteria, mentre la palmetta, collocata all’esterno, ha in quella di Ponte una rispondenza straordinaria.Ma, oltre che la muratura, peraltro, a giudizio del Rusconi, in uso generalizzato anche a Roma nella seconda metà dell’VIII secolo, per esempio nei restauri delle mura aureliane avviati da Gregorio III e completati sotto Adriano I o anche in edifici nei quali si ebbe l’intervento di questo papa come S. Giovanni a Porta Latina(2), vi è un altro elemento di rispondenza che credo abbia maggiore importanza perchè meglio consente di individuare il comune carattere stilistico dei due edifici. Si tratta della medesima impostazione nel concepire e organizzare i volumi interni e quindi della medesima intuizione dello spazio che permette di cogliere meglio delle murature, patrimonio di architetti ma anche di maestranze, per quanto questa distinzione relativamente all’Alto Medioevo sia plausibile, l’esistenza di una matrice culturale comune agli architetti delle due chiese per motivi che prenderò in esame più avanti non penso possa trattarsi della stessa persona operosi del resto in centri ben collegati tra loro se la via Latina, con un suo ramo, da Teano si spingeva a Benevento attraverso Alife, Telese e Ponte.Se si osserva la navata centrale di S. Maria di Compulteria si nota che in essa, nonostante l’esistenza di archi sorretti da pilastri a sezione rettangolare e alle estremità da piedritti e di finestre nella parte superiore, lo spazio tende ad orientarsi e risolversi nell’ampia cavità dell’abside. Questa tendenza è assecondata anche dall’assenza del transetto e il tipo di muratura in antico, come si è visto, le pareti non dovevano essere ricoperte da intonaci —con gli effetti ottici che è capace di ottenere, indubbiamente la favorisce.

E’ quanto avviene in S. Anastasia. E che la composizione dello spazio nelle due chiese prese in esame, in conseguenza di un simile modo di organizzare i rapporti volumetrici, sia la stessa, è suggerito, a mio avviso, anche dalle dimensioni. La navata centrale di S. Maria di Compulteria, si è visto, è lunga m. 19,90 e larga m. 8,20, mentre l’abside semicircolare ha un diametro di m. 5,90 e un raggio di m. 2,95 ~S. Anastasia è lunga m. 20,30 e presenta una larghezza che varia da m. 8,32 a m. 8,36, mentre l’ampia abside di forma ellittica ha un diametro di m. 5,28 e un raggio di m. 3,30. In S. Maria il rapporto è quasi di 2:1 per la navata centrale  e per l’abside stessa. In S. Anastasia il rapporto è quasi di 2:1 per l’aula e per la stessa abside.~ E se diverse sono le proporzioni fra le absidi delle due chiese e le pareti di fondo nelle quali rispettivamente si aprono a S. Maria l’abside occupa lo 0,72%~ di tale parete per cui il rapporto si avvicina ai 3/4, in S. Anastasia occupa lo 0,64%o sì che la proporzione è di 2/3 ciò non può far pensare che vengano meno le analogie volumetriche e che sia contraddetta l’affermazione dell’esistenza di un comune modo di organizzare lo spazio nelle due chiese. La differenza, infatti, trova la sua spiegazione nel fatto che l’architetto di S. Maria di Compulteria, nel realizzare una basilica a tre navate, e quindi dall’impianto complesso, per compensare la dispersione che nella navata centrale, sovrastante le due laterali, si crea per la maggiore altezza e per l’esistenza di aperture su diversi ordini ha dovuto necessariamente concepire un’abside più ampia, una sorta di apertura compensativa che, opponendosi alle forze centrifughe esistenti, convogliasse le direttrici dello spazio interno consentendo di recuperare una spazialità orientata verso quella zona dell’edificio ove, vicino all’altare, era del resto anche la scuola cantorum

Al tema della concezione architettonica simile, ulteriore prova della quale è anche l’identità dell’orientamento come S. Maria di Compulteria pure S. Anastasia è orientata da est a ovest si può supporre si connettesse, infine, un altro elemento.

Del campanile, e del modo nel quale esso è stato edificato, a cavaliere del muro di facciata, si è detto. E si è detto anche che nella parte alta di tale muro, alla sua destra, in prossimità del punto in cui il campanile vi aderisce e proprio dove la struttura appare meno alterata da rifacimenti antichi, si intravede la porzione di un arco in laterizi del tutto simili a quelli impiegati nell’arco dell’abside. L’arco verosimilmente proseguiva e concludeva la propria curvatura in facciata, nel punto in cui a questa sono addossate le strutture del campanile e si può pensare costituisse il coronamento superiore di una finestra che è stata evidentemente chiusa durante i lavori di edificazione del campanile quando tuttavia non ci si preoccupò di eliminarne del tutto le tracce e la cui appartenenza alla facciata originale sembra testimoniata proprio da questo fatto, a meno che non si debba supporre un intervento precedente su di essa che appare molto improbabile e che, ad ogni modo, è impossibile documentare. Nel caso l’arco si riferisca ad una finestra, per le dimensioni abbastanza contenute che è possibile assegnarle sulla base della curvatura originaria dell’arco stesso e per la collocazione che essa presenta rispetto ai punti estremi della facciata — come si può vedere è tutt’altro che centrale — è più che lecito supporre non fosse l’unica e fosse affiancata da altre due identiche aperture. E mentre giova osservare che le tre finestre dovevano trovarsi ad un’altezza ben calcolata fra il portale e il coronamento triangolare del prospetto, sembra di avere elementi sufficienti per meglio definire l’aspetto originario della facciata e pare di potere individuare un ulteriore motivo di rispondenza con S. Maria di Compulteria.

Non è facile dire quale fosse l’aspettò originario del portale, che oggi è in pietra chiara, ad architrave, con gli stipiti raccordati da due mensole a quest’ultimo sul quale sono incisi rozzamente, con la data 1641, il titolo ed il nome dell’archi presbiter Mainella, evidentemente quel Bartolomeo Mainella che dal 1610 al 1648 fu per lunghi periodi arciprete di Ponte, come risulta dalla documentazione esistente(3) Ma se il portale non fu quello a noi pervenuto, che, pur antico e ancora sormontato da una lunetta di m. 1,30 di raggio e con tracce illegibili di affreschi, potrebbe non essere contemporaneo all’edificazione della chiesa, non dovette essere -assai diverso. Per quanto si possa essere portati a pensare che, per ragioni di analogia con gli archi delle finestre e con quello dell’abside, il citi motivo da questi, sulla parete opposta, è ripreso, esso dovesse essere arcuato, si deve dire che non poteva assolutamente essere elevato. Non vi sarebbe più stata, infatti, alcuna corrispondenza fra l’apertura d’ingresso e la parete interna affrescata, ed in tal caso, anche per questa, come già per le finestre della facciata, si dovrebbe supporre un intervento costruttivo intermedio fra l’edificazione della chiesa e quella del campanile, che ovviamente avrebbe portato anche alla modificazione del portale e che non è proprio possibile documentare. Perciò sembra molto più rispondente al vero supporre che il portale, se non fu proprio quello attuale, più vicino nella concezione alle strutture che la facciata assunse a seguito dei lavori di edificazione del campanile, fu comunque ad architrave e che il motivo dell’arco in un prospetto dal culmine triangolare e dalle finestre appunto arcuate, di cui sembra lecito proporre la ricostruzione grafica, venisse piuttosto ripreso da un protiro con volta a botte che nel coronamento a due spioventi avrebbe richiamato anche quello della facciata. Si tratterebbe, in questo caso, di uno di quei protiri che nelle chiese della Longobardia meridionale non mancano, come dimostra l’esempio della citata basilica dei SS. Martiri di Cimitile, nella quale peraltro il portale è appunto architravato, e richiamerebbe quell’elemento che tuttora si vede sulla facciata di S. Maria di Compulteria. Qui la struttura, a giudizio del Rusconi, doveva essere ben più complessa e l’elemento architettonico oggi visibile doveva svilupparsi lateralmente in un vero e proprio nartece a cinque archi sorretti da pilastri rettangolari, esteso su tutta la fronte, come fanno pensare residui di strutture murarie e gli archi che, aprendosi sulle parèti laterali del corpo centrale più alto, forse un tempo sormontato da un timpano triangolare in corrispondenza delle falde del tetto della navata centrale retrostanti, ne sorreggevano la volta a botte con sviluppo in profondità e lo collegavano agli ambienti laterali, probabilmente coperti da falde di tetto spioventi in facciata. Ma, nonostante la struttura a S. Maria di Compulteria fosse molto complessa — qui pure, peraltro, la facciata presenta, al di sopra del corpo di fabbricato sporgente di cui si è detto, tre monofore—si può pensare che all’elemento centrale del nartece si sia nondimeno ispirato l’architetto di S. Anastasia, costretto del resto dalle diverse dimensioni del prospetto a contenere la propria inventiva e a limitare per forza di cose le strutture creando forse un semplice protiro di cui non si può dire se avesse l’eleganza di quello della basilica dei SS. Martiri di Cimitile, nel quale un profondo arco a tutto sesto è sorretto da pilastri, capitelli e mensole elegantemente scolpiti.

L’analisi della parete di facciata di S. Anastasia, cui ha spinto

anche l’esigenza di ricostruirne l’aspetto originario, attraverso l’individuazione delle successive stratificazioni che su di essa si sono avute, ha portato a cogliere l’entità delle modificazioni e quindi la portata dei rifacimenti che essa ha subiti. In particolare, nel corso di quest’analisi sono stati stabiliti alcuni punti molto importanti per definire il numero, oltre che l’entità, degli interventi effettuati sul prospetto. E cioè, che le finestre le quali un tempo in esso dovevano aprirsi furono chiuse all’epoca in cui venne edificato il campanile e che proprio in quello stesso momento la parete dovette essere rifatta anche all’interno, essendo stato già allora consistentemente danneggiato l’afresco, di sicuro eseguito più anticamente, come si è visto, che lì la ricopriva. L’esame di questi due problemi, che si colloca peraltro nel contesto di una ricerca più ampia, induce a formulare due domande. Una, più strettamente legata alle questioni discusse, concerne l’epoca in cui è stato costruito il campanile, l’altra, quasi provocata dal riferimento all’affresco, riguarda il momento al quale esso risale. Ma prima di dare risposta ad esse è bene risolvere il problema cronologico delle strutture più antiche e cioé quello dell’epoca in cui S. Anastasia venne costruita.

Per tutti gli elementi di rispondenza esistenti fra S. Anastasia di Ponte e S. Maria di Compulteria, non solo credo che si possa affermare l’esistenza, alla base di esse, di una matrice culturale comune, ma penso che per S. Anastasia si possa proporre una datazione non molto diversa da quella cui è riferibile la basilica di compulteria.

Circa la datazione di questa, la quale — sarà bene ricordare —nell’XI secolo assunse il titolo di S. Ferdinando, esistono in realtà due diverse proposte.

Il Rusconi, il quale poco dopo la scoperta dell’edificio, ritenendolo paleocristiano, ne aveva proposto la datazione ella fine del V - inizi del VI secolo — essa fu accettata anche al Congresso di Archeologia Cristiana tenuto nel 1955 àd Aix-en-Provence, come egli stesso ricorda —, alla luce di un più attento esame delle strutture condotto durante il restauro e connesso peraltro con quello delle vicende storico-artistiche della Campania fra il VI e il IX secolo, ha preferito spostarla alla fitte dell’VIII - primi del IX secolo.

Il Venditti, invece, l’ha anticipata alla fine del VII - primi dell’VIII secolo.

Fra le due tesi mi pare si debba accettare quella del Rusconi. L’uso di pilastri, anziché di colonne, come avveniva in età paleocristiana e accadrà dal IX secolo in poi, in adesione alle forme innovatrici sviluppatesi dal VII secolo in area bizantina; la struttura muraria del tipo in uso nella seconda metà dell’VIII secolo; l’affinità degli elementi a mosaico del pavimento con il mosaico dell’isola comacina, datato al IX secolo dal suo scopritore, il Mirabella Roberti, e con i pavimenti delle basiliche romane dei SS. Quattro Coronati e di S. Maria Antiqua datati con unanime consenso tra la fine dell’VIII e la metà circa del IX secolo; la reiterata presenza del fiore a sei petali a ruota, un motivo decorativo che è davvero nell’VIII secolo il marchio di fabbrica –longobardo-, sono alcuni degli elementi che hanno spinto il Rusconi a propendere per la fine dell’VIII-primi del IX secolo a meno che per S. Maria di Compulteria non debbano valere solo forti anticipazioni e mi sembra debbano avere netta prevalenza sulle argomentazioni pur suggestive del Venditti.

Propenso a ritenere il restauro addirittura disastroso, essenzialmente perché il Rusconi ha ricostruito le navate laterali, delle quali ha calcolato l’altezza in base all’inclinazione dei fori delle travi nelle pareti della navata maggiore, totalmente cieche, mancando elementi per stabilire numero e dimensioni delle finestre, e poiché ha fatto intonacare le pareti esterne creando un forte contrasto fra le murature antiche e quelle rifatte, questi, peraltro incline a ritenere assolutamente ipotetica la ricostruzione grafica del nartece a cinque archi, ha il merito di avere integrato l’analisi del Rusconi. Ma i riferimenti, pur appropriati, che ha proposti, per esempio alle chiese romane dei SS. Giovanni e Paolo(410-420) e di S. Sabina (425-432) o di S. Maria in Cosmedin (VIII sec.) e di S. Prassede anche per quanto riguarda la successione ritmica delle monofore esterne, se meglio consentono di individuare il tessuto culturale nel quale il monumento, certo non lontanissimo dalla poetica paleocristiana, si inserisce, gli elementi ai quali si collega, non sono molto specifici e non possono certo offrire quel riscontro cronologico tanto determinante da far concludere, sia pure in via d’ipotesi ma pur sempre in alternativa alle motivate conclusioni del Rusconi, che la chiesa debba essere necessariamente collocata fra il VII e l’VIII secolo e che non possa comunque oltrepassare la fine di quest’ultimo.

A questo punto il problema della datazione di S. Anastasia appare risolto. Ma è forse opportuno differire l’origine dell’edificio alla seconda metà, anche inoltrata, del IX secolo, se non in considerazione del fatto, pur incontestabile, che ad un arco di tempo non troppo ristretto va assegnata la produzione corrispondente ad un orientamento stilistico di cui è lecito supporre le articolazioni, per il motivo che l’edificio, oltre ad avere molti punti di contatto, sembra anche derivare, ad un livello più modesto, da S. Maria di Compulteria.

Circa la derivazione, penso che sia intuibile perché si deve credere al valore e alla forza dell’esempio illustre e a ciò, del resto, ho già fatto riferimento nel parlare del protiro, che mi sembra ripreso dall’elemento centrale del nartece della basilica di Compulteria. Circa il livello più modesto, esso è percettibile con chiarezza e non e solo conseguenza delle dimensioni più contenute, ma si rivela nella concezione d’insieme ed in alcuni particolari come la muratura, talvolta ottenuta, secondo quanto è stato già detto, combinando con i mattoni pietre allo stato assolutamente naturale, o ancora come le finestre realizzate con assoluta semplicità. Oltre alle monofore a croce poste in prossimità della parete absidata, delle quali si è detto, e alle monofore che un tempo si aprivano in facciata, la chiesa prendeva luce da altre quattro finestre, due su ognuna delle pareti laterali, di forma rettangolare tanto che misurano m. 1,03 x 1,65, delimitate da modanature in blocchi di pietra scura che nei lati lunghi hanno forma di piramide con il vertice volto verso l’interno per cui lì si riscontra anche una larghezza minore, di cm. 74, disposte rispettivamente a m. 11,30 e a m. 16,05 dalla parete absidata.

La chiesa sembra essere cioè l’opera d’un architetto che in essa ha esercitato, pur degnamente, un mestiere attinto ad una tradizione già solida ed articolata, e non il prodotto di un maestro che in un periodo di anni non troppo ampio ha operato a vari livelli, come eppure naturale, o che qui addirittura ha inteso svolgere un tirocinio

preliminare a più impegnative realizzazioni. Di conseguenza, mentre in quest’ultimo caso si doyrebbe pensare ad un’identità di mano e ad una quasi identità di tempi per le due chiese in questione, si deve asserire che gli autori dei due edifici sono diversi. Ed in realtà essi, nell’esprimersi a differenti livelli, sembrano corrispondere alle esigenze di due committenti non lontani per cultura ma in possesso di un gusto non ugualmente elevato, sembrano soddisfare spontaneamente le diverse richieste che pure un mercato modesto non poteva non proporre.

L’edificio sorto alla fine del IX secolo deve avere rappresentato un punto di riferimento non trascurabile nella vita del piccolo centro nel quale sorge. Ciò è attestato già dal fatto che la località nella documentazione che la riguarda e che verrà presa in considerazione più avanti è denominata appunto Pons Sanctae Anastasiae ed è dimostrato anche, in certa misura, dalle vicende che la riguardano, sulle quali mi soffermerò più oltre. Comunque stiano le cose, un segno del ruolo svolto dalla chiesa siell’abitato di Ponte nel corso del tempo e quasi della vitalità dalla quale essa è stata animata è offerto proprio dalle trasformazioni che l’edificio ha subito. E se, per rispondere alla seconda delle domande formulate prima prendendo spunto proprio dal succedersi degli interventi edilizi, va detto che ad epoca coeva all’edificazione della chiesa, o non di molto posteriore, possono essere attribuiti i resti dell’affresco che è sull’interno della parete di ingresso, va anche precisato che il campanile, la cui mole, sproporzionata alla costruzione dai volumi ben studiati ed antiestetica poiché impedisce la vista del naturale coronamento dell’edificio, il primo architetto di S. Anastasia, tutt’altro che ignaro di proporzioni e, nei suoi limiti, non privo di gusto, come si è visto, peraltro mai avrebbe collocato a cavaliere del muro di facciata, deve essere opera ben più recente anche se problematica da definire.

Per quanto riguarda l’affresco, relativamente al quale va detto che non sembra essere la seconda o la terza stratificazione — precedenti strati, qualora fossero mai esistiti, risulterebbero visibili nei punti nei quali l’intonaco è caduto —, solo un particolare, posto sulla sinistra della lunetta creata dall’arco di sostegno del campanile, è oggi leggibile. Si tratta di una figura maschile, dal volto barbato non privo di espressività, che protende all’indietro il braccio sinistro e che sembra colta nell’atto di genuflettersi, come fanno pensare la posizione non del tutto eretta e l’andamento, anche al di sotto della tunica di colore giallo chiaro che la riveste fino al ginocchio, alla cui altezza è delimitata da una linea blu, della gamba destra, l’unica visibile, e quello della tunica stessa, la quale, nel punto in cui doveva essere raffigurata la gamba sinistra raggiunge quasi terra. L’immagine, che si staglia su un fondo rosso — all’altezza della gamba vi è tuttavia una zona di colore azzurro —, non consente di identificare il tema del dipinto. Tuttavia è lecito pensare, e non solo per la suggestione che l’ipotesi esercita, che l’argomento ritratto dall’ignoto artista fosse un Giudizio Universale. Era infatti consuetudine che sulla parete opposta a quella di fondo, di solito quanto meno recante nell’abside l’immagine del Cristo vivo, cioè il Cristo che trionfa sulla morte e rappresenta la vita eterna — e l’abside in S. Anastasia, si è visto, presenta i resti di tre strati di affreschi, uno dei quali dev’essere necessariamente’ coevo all’edificazione della chiesa —, in ideale congiunzione con il tema li svolto, anzi quasi a suo completamento perché il Cristo che torna a giudicare i vivi e i morti esprime un concetto che si integra sul piano dottrinario con quello del Redentore sacrificatosi per recuperare il peccatore alla vita eterna, vi fosse la raffigurazione del Giudizio Universale. Era consuetudine, questa, propria delle arde influenzate dalla tradizione bizantina e quindi anche dell’Italia meridionale. E qui un esempio è offerto dagli affreschi di Sant’Angelo in Formis dell’XI secolo.

Ora, poiché la chiesa che sorge presso Capua, alle falde del monte Tifata, si inserisce in un articolato discorso architettonico regionale riprendendo temi e forme già sperimentati, come, giova ripetere, ha sottolineato recentemente la de’ Maffei, è lecito pensare che la raffigurazione del Giudizio Universale, che in essa è appunto sull’interno della parete d’ingresso, trovi un rispondenza nell’uguale ubicazione di un analogo brano pittorico nella chiesa di S. Anastasia di Ponte. La semplicità, la spontanea, ingenua dialettalità che sembra di poter cogliere nel frammento di Ponte collocano naturalmente quest’episodio pittorico in una dimensione assai più modesta, ma certo la diversa qualità non è elemento sufficientemente indicativo per una datazione. Occorrerebbero porzioni più ampie e meglio conservate per potersi pronunziare e poiché esse mancano l’asserzione che l’affresco fosse contemporaneo alla costruzione della chiesa rimane solo tale, o meglio rimane una proposizione legata unicamente ad un fatto intuitivo, a sua volta corroborato dalla consapevolezza dell’esistenza di un uso canonico per il quale l’edificio religioso non veniva consacrato se non era dotato della decorazione pittorica e cioè della narrazione per immagini dei temi principali della fede.

Per quanto riguarda il campanile, giova fare alcune osservazioni preliminari. Le tre sezioni superiori con il coronamento a cono, oggi scomparse, che la fotografia del 1900 lascia intravedere, sembrano strutture diverse, dal punto di vista stilistico, dalle due sottostanti. Mentre queste ultime non sono prive di slancio e di una pur rozza maestosità, quelle, prese sia singolarmente, sia nell’insieme, presentano proporzioni molto più tozze, rapporti volumetrici molto meno agili. La discordanza non è lieve e si deve pensare che la porzione superiore del campanile ancora integra all’inizio del secolo non sia originale, ma sia piuttosto il frutto di un rifacimento, per di più abbastanza grossolano. In questo modo si colgono nella struttura della chiesa i segni di un altro intervento, il quale peraltro non dovette essere limitato al campanile ma si estese presumibilmente anche al tetto, al quale, del resto, modifiche, per quanto lievi, dovevano essere state necessariamente apportate già all’epoca della costruzione del nuovo corpo di fabbrica.

Ma va detto che l’intervento cui la porzione superiore dev’essere ascritta è di epoca moderna. Lo fanno pensare l’aspetto delle tre sezioni e quello del coronamento, di gusto decisamente barocco, e non è improbabile che risalga alla fine del Seicento - primi del Settecento, quando la zona fu sconvolta da terremoti — nel 1688 e  nel 1702 — che obbligarono a sostanziosi restauri.

Nel Medioevo va invece collocata, senza esitazioni, la porzione inferiore. Ma non sembra facile precisarne l’epoca. La sezione superiore delle due oggi esistenti si restringe rispetto a quella sottostante nella maniera che si è detto ed è da presumere che anche quella, o quelle, che in origine si ergevano al disopra di essa riprendessero questo motivo. Lo fanno pensare esigenze di coerenza e il fatto che la caratteristica si ripresenta nelle strutture rifatte in età moderna forse attenendosi in qualche modo all’originale. Naturalmente si potrebbe anche pensare che tali strutture non riprendessero alcun motivo preesistente, che, nel caso loro, la rientranza dei corpi di fabbrica e il conseguente ridimensionamento dei volumi fossero dovuti all’esigenza di ridurre il peso e che nel campanile originario la lieve rientranza della sezione superiore, peraltro non riscontrabile sul lato sinistro della facciata all’interno della chiesa, non si ripetesse nella, o nelle, sezioni superiori. Ma quest’ultima ipotesi nel complesso, mi sembra meno plausibile. I riscontri che è possibile trovare in alcuni campanili romanici della Campania — questi spesso presentano tale rientranza, per di più su tutti e quattro i lati —inducono a pensare, infatti, che il motivo, da mettere in rapporto forse con esigenze di natura tecnica, fosse, se non una costante, abbastanza comune. Quindi è corretto pensare che anche a Ponte esso si ripetesse nello sviluppo verticale della costruzione. Comunque va detto che, al fine di classificare e di datare il campanile di S. Anastasia, non costituisce elemento determinante, avendo importanza fondamentale piuttosto l’impianto complessivo della costruzione. E tuttavia può essere spunto per dei confronti che possono poi estendersi anche ad altre torri campanarie prive di qualsiasi riduzione della sezione.

Uno dei confronti che è possibile proporre, sia pure con tutta la cautela che s’impone quando si paragonano elementi appartenenti a diversi ordini di grandezza, è quello con il campanile del duomo di Amalfi, che nell’alto basamento in blocchi di travertino, nel punto in cui, agli angoli, sono le colonne incassate, presenta una leggera rientranza e che soprattutto ha rientranti le due massicce sezioni che sono fra questo basamento e la cella campanaria dal corpo di fabbrica ulteriormente ridotto. Ma non si deve pensare che il riferimento,

plausibile soprattutto se si pensa all’impianto architettonico complessivo, al modo nel quale si sovrappongono i volumi, sia avvalorato dal fatto che il campanile, collocato sulla sinistra dell’atrio, è quasi davanti alla porta della più antica, e più piccola, delle basiliche di cui si compone la cattedrale di Amalfi, quella che, dopo essere stata dedicata all’Assunta, venne intitolata al Crocifisso. La posizione del campanile rispetto a questa chiesa, che dalla costruzione del vicino chiostro del Paradiso venne ridimensionata e mutilata, è infatti diversa da quella che ha la torre campanaria di Ponte ed inoltre la sua edificazione sembra essere legata alle vicende della maggiore basilica di S. Andrea costruita verso la fine del X secolo. Inoltre si deve precisare che la rientranza esistente nel basamento del campanile amalfitano non può essere assimilata a quella che diversifica due sezioni. Infatti non determina uno stacco, ma rappresenta piuttosto un espediente per articolare e rendere più agile una struttura assai massiccia.

Tutto ciò, naturalmente, rende il campanile di S. Anastasia più facilmente comparabile anche con gli altri dell’Italia meridionale. Del resto con quello di Amalfi, del quale, secondo un acuto giudizio del Venditti, il basamento e le due sezioni furono costruiti entro la fine del XII secolo mentre alla seconda metà del XIII risalirebbe la cella campanaria — il Chierici, invece, riteneva che entro la prima data dovessero collocarsi il basamento e la sezione superiore che prende luce da eleganti bifore, mentre alla seconda fosse da riferire l’esecuzione della cella campanaria, essendo da porre in un momento intermedio la sezione con le trifore costruita con materiale diverso —, essi presentano relazioni significative. Mi riferisco ai campanili delle cattedrali di Aversa, di Capua e di Salerno che risalgono al XII secolo

Stele A

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Epigrafe stele A

D(is) M(anibus)L(ucio) Pettidio

Marcellino

marito Petelia Voluptas

cum quo vixit ann(is) XXIII

sine ulla querella

b(ene) m(erenti) f(ecit)

f63efc92b190bfc32a5d91889be7249aefbeee08

Stele B

f831c962765c2f99e6c50cdcb35b2cc48ae4323b
283972c34e29cdb60ecb9a3bc8d4682a751dcacf

Epigrafe stele B

D(is) M(anibus)C(ai) Valeri Primiceni

Laella Liberalis coniuci

cum quo vixit annis XXX, mensibus VI

sine querella

b(ene) m(erenti) f(ecit)

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