Ponte, paese mio... poesia di Pietro Palumbo
Ponte, paese mio che dall’altura
sorvegli e domini tutta la pianura,
e tra i fiumi del Calore e della Lente
che ti coronano e ti rendono splendente,
tu dai più sogni e più fantasia
a chi ti guarda dalla ferrovia.
Sì, è vero, non sei mai stato decantato
dai tuoi cari figli del passato,
però sol perché non ci han pensato
ma il lor desio era sconfinato.
Tutti in te nutrivano un affetto
di dolce amore a un padre prediletto
e sempre vivo eri nel loro cuore
come un sogno di dolce primo amore.
Ma chi già più non ti poteva guardare
perché lontano stava a lavorare,
nel suo pensiero tu eri a lui vicino
in tutti i giorni del faticoso cammino
e più conforto gli mettevi allora
quando al pensiero di ritrovarti ancora,
tu, più ardente, come un lumicino
gli rinnovavi i ricordi di bambino.
Ah! Quei cari compagni
sempre intraprendenti
su quella piazza e nei vichi oscuri,
quanti ricordi di gioiosi intenti,
quanta passione di giocar fra i muri.
E in quella Chiesa che ci vide crescere
con quei bei riti che ci faceva conoscere,
quanto desio di consacrare a Dio
un sol sorriso di un amore pio.
E in quelle feste tanto desiderate
che più ci univan e ci tenevan contenti
per quei semplici giochi, anche sconsiderati,
con pochi soldi, oppure senza niente.
E quel via vai fino alla Guarana
che incominciava dal primo del mattino,
chi con l’asino e chi col suo vicino
s’intonava col primo suono di campana.
E poi la sera, all’ora del tramonto,
quando ritornavan dalla fatica,
tutti in fila facevan un racconto
su quella strada della fontana antica.
E in quelle sere piene di calore,
quando a gruppi, di casa, uscivam festosi
per ritrovarci su quella piazza ansiosi
per festeggiarci e per trovar ristoro.
E poi uniti insieme agli anziani
che a un bicchier di vino facevan festa,
al lor brindar dei tempi assai lontani
ci davan sfogo con le loro gesta.
Vi ricordate zio Michele, zio Raffaele, zio Pellegrino
e tanti altri che vorrei vicino
perché se ogn’un facessi risuscitare
di tante risate vi farei crepare.
Ma, ormai non c’è più tutta questa gente
e non c’è più quell’amor possente
che ti dava impronta, o car Paese mio,
di una festa di sorridente oblio.
Ed ora a te io dico: stai contento
e non aver alcun risentimento
perché chi ti vuol bene e t’ama tanto
vuol essere protetto dal tuo manto,
anzi ti dico che il tuo vegliar è ardore
di pace, di gloria e di splendore,
perciò il tuo sguardo ci consola tanto
perché ci tieni uniti a quelli del camposanto.

