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Le pietre parlano a saperle leggere. E raccontano...
Le pietre parlano, a saperle leggere. E raccontano storie affascinanti suscitando, al tempo stesso, nuovi interrogativi, nuove ricostruzioni, nuove storie.
Tanti hanno guardato le due stele funerarie conservate nell’Abbazia di Santa Anastasia a Ponte, qualcuno in modo ammirato, altri incuriosito, i più in modo distratto, ma quelle pietre, a saperle leggere, dicono molto, raccontano delle storie.
Innanzitutto l’epoca, il II secolo d.C., che testimonia la presenza di un ramo della via Latina, di ville rustiche nel territorio in età romana. Tali iscrizioni funerarie erano, infatti, destinate a celebrare la memoria del defunto assicurandogli l’immortalità nel ricordo dei discendenti e di chi, leggendone il nome sul monumento, lo evocava, e per questo erano disposte lunghe le vie più frequentate; di uso comune risultano in esse le dediche, espresse mediante la formula D.M. (Dis Manibus), agli Dei Mani, che per i Romani rappresentavano le anime dei defunti alberganti nell’Oltretomba.
E ancora, il testo delle epigrafi, che racconta del passato di Ponte: di fatto Lucio Pettidio Marcellino e la moglie Petelia Voluptas, che con lui aveva vissuto ventitré anni, Gaio Valerio Primigenio e la moglie Lellia Liberale, con cui aveva vissuto trent’anni e sei mesi, sono i primi pontesi della storia di cui ci sia giunta notizia.
D(is) M(anibus) L(ucio) Pettidio
Marcellino
marito Petelia Voluptas
cum quo vixit ann(is) XXIII
sine ulla querella
b(ene) m(erenti) f(ecit)
D(is) M(anibus) C(ai) Valeri Primiceni
Laella Liberalis coniuci
cum quo vixit annis XXX, mensibus VI
sine querella
b(ene) m(erenti) f(ecit)
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